Domenica 7 agosto – É stata la mano di Dio

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7 agosto ore 21.15
Chiostro di San Colombano (Bobbio)

É STATA LA MANO DI DIO

Italia, 2021
Regia
Paolo Sorrentino
Sceneggiatura
Paolo Sorrentino
con
Filippo Scotti, Toni Servillo, Teresa Saponangelo
Fotografia Daria D’Antonio
Montaggio Cristiano Travaglioli
Musica Lele Marchitelli
Scenografia Carmine Guarino
Costumi Mariano Tufano
Prodotto da Lorenzo Mieli, Paolo Sorrentino
Una produzione The apartment
Durata 130 minuti
Distribuzione
Netflix, Lucky Red

Ospiti della serata
Il regista Paolo Sorrentino

Trama

Negli anni Ottanta la giovinezza di Fabietto Schisa si svolge in un ambiente familiare pieno di personaggi bizzarri, a cominciare dall’avvenente zia Patrizia che non perde occasione per presentarsi senza veli, facendo di continuo infuriare lo zio ed eccitare i presenti. Mentre la città di Napoli è ormai preda del fenomeno calcistico Maradona, Fabietto, incerto sul proprio futuro, scopre il sesso e la propria vocazione cinematografica mentre la famiglia si sgretola. Una serie di eventi, sovrannaturali e comici, casuali e assurdi, lieti e tragici, condiziona sempre le sue scelte fondamentali.

L’autobiografia e il romanzo di formazione in Paolo Sorrentino sono i territori ulteriori in cui eccedere la misura: l’età conta relativamente nella sfera sessuale, la passione sportiva diventa egida collettiva e destino individuale, il nucleo familiare si presenta composto di personaggi normalmente fuori norma, le influenze cinematografiche vanno dall’irraggiungibile Federico Fellini al determinante concittadino Antonio Capuano. La soggettività portata alle estreme conseguenze di un’umanità molto faunistica in È stata la mano di Dio assume le nuove sproporzioni del vissuto in prima persona rigorosamente partenopea: gli anni Ottanta consegnati alla mitologia dominante del fuoriclasse Diego Maradona modellano perciò il divenire stesso del protagonista e alter ego in una chiave tra il tragico e l’assurdo, il sacrale e il sovrannaturale. L’universo da farsa in cui il giovane cresce non viene rievocato con i toni della nostalgia ma con la sensazione profonda che soltanto un concorso di cause incredibili può generare la vocazione per il cinema. Lo spettacolo della realtà si alimenta quindi di se stesso e trasforma l’incertezza esistenziale di un adolescente in bisogno fisiologico di un perimetro geografico e interiore di immagini in movimento, dilatate dallo schermo orizzontale, distorte dal grandangolo e arbitrate da una vertiginosa simmetria. Il sé, come mezzo e non come fine, governa pertanto l’andamento di eventi e blocchi narrativi quasi intercambiabili. E sgombra da subito il campo dal principio di realtà per abbracciarlo nella curva spazio-temporale di un film che come un gigantesco stomaco digerisce e rielabora, abbraccia e custodisce il Golfo di Napoli e le sue strane storie.   

Anton Giulio Mancino