Domenica 4 agosto – Sulla mia pelle

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Italia 2018
Regia Alessio Cremonini
Sceneggiatura Lisa Nur Sultan, Alessio Cremonini
con
Alessandro Borghi, Jasmine Trinca, Max Tortora
Fotografia Matteo Cocco
Montaggio Chiara Vullo
Scenografia Roberto De Angelis
Costumi Stefano Giovani
Musica Mokadelic
Durata 100 minuti Distribuzione Lucky Red, Netflix

Ospiti della serata
il regista Alessio Cremonini e l’attore Alessandro Borghi

Trama

Stefano Cucchi ha appena trentun anni quando muore all’ospedale Sandro Pertini di Roma, mentre è in stato di detenzione. Dopo l’arresto, trascorre la sua ultima settimana di vita tra procedure incomprensibili, violenze e abusi. Una settimana che cambia anche la vita della sua famiglia che non riesce a vederlo, se non da morto, e che cerca invano di capire.

L’impatto della denuncia che segue una linea politico-indiziaria, offrendosi come strumento interpretativo e di supporto persino sul fronte giudiziario, comporta un viaggio in un incubo reale fatto di soprusi, reticenze, burocrazia, norme vessatorie e legalità calpestata, assume da subito una valenza da “cronaca di una morte annunciata”, tra le sbarre. Potrebbe essere addirittura un film di fantascienza, ovviamente distopica. Un’allucinazione futuristica. Invece siamo in Italia, quella di appena nove anni fa, al cospetto dell’oggi in cui si reclama l’ordine e non si riflette su quanto esso debba andare di pari passo con la giustizia umana, la libertà, il diritto. L’interpretazione mimetica impressionante di Alessandro Borghi, fisicamente trasformato, è l’oggetto costante dell’inquadratura orizzontale, calibrata per ospitare il corpo straziato e infermo. Il formato oblungo del Cinemascope, secondo Fritz Lang, era fatto apposta per inquadrare serpenti e funerale. In Sulla mia pelle non ci sono serpenti, ma funerali. Tutto il film ospita cioè il corpo del protagonista già condannato alla posizione orizzontale, come se lo spazio visivo concesso fosse il perimetro di una bara funebre. Inevitabili perciò i rimandi pittorici al Cristo morto di Andrea Mantegna, quindi a Mamma Roma di Pier Paolo Pasolini e Salvatore Giuliano di Francesco Rosi e al fitto indotto cinematografico in cui si piangono i morti attraverso questo riferimento pittorico costante, diuturno, emblematico, simile ad un codice cifrato che restituisce intatta la misura dello sdegno, della pietà, del disagio civile.

Anton Giulio Mancino, Nocturno